giovedì 12 aprile 2012

Recensione: Il farmacista di Auschwitz


                                                          Il farmacista di Auschwitz
di Dieter Schlesak

Prezzo di copertina: € 18,60
Editore: Garzanti Libri
Collana: Narratori Moderni
Data di uscita: 2010
Pagine: 450, brossura
Lingua: Italiano
Titolo originale: Capesius, der Auschwitzapotheker
Lingua originale: Tedesco
Traduzione: T. Cavallo
Genere: Romanzo storico, saggio

“Succede così per tutti, diceva Adam, noi che l’abbiamo vissuto… veniamo da un altro mondo… un abisso separa noi e voi, e questo abisso è una sorta di vuoto dell’orrore (...)"

Viktor Capesius, il farmacista di Auschwitz, seleziona personalmente le vittime, le fa spogliare per mandarle a morire, distribuisce dosi di Zyklon B, il gas letale. Fra i condannati, non solo sconosciuti, ma anche tanti suoi antichi vicini di casa a Sighisoara, gli stessi che in una fotografia degli anni Trenta lo circondano sorridenti in uno stabilimento balneare della piccola cittadina. Tutti suoi compaesani, come Ella Salomon che da ragazzina entrava nella farmacia per ricevere in dono qualche caramella, e che ora si arrampica fino alla piccola feritoia del vagone deportati per cercare un po' d'aria, nel tentativo di non impazzire, come molti altri accanto a lei; il dottar Mauritius Berner, che appena arrivato al campo si vede strappare dalle braccia, mute e atterrite, le sue gemelline di soli sei anni, che moriranno poche ore dopo soffocate dal gas e dal peso di duemila cadaveri sopra di loro; o Adam, il deportato costretto a entrare a far parte del Sonderkommando Crematori, un uomo che, dentro di sé, custodisce ricordi che sono come bestie nere. Che gli stanno alle costole, e ridono, e ghignano. Tutte le notti. Atrocemente.


Questo è un libro che, una volta letto, rimane nel cuore, nella mente, nelle viscere. Non è un libro facile, né tantomeno piacevole, come un qualsiasi saggio sui lager che si rispetti: quando si parla di morte e di sterminio di massa di migliaia di persone innocenti, non ci si può aspettare un racconto gradevole. Il linguaggio è crudo, la narrazione è in terza persona, condotta attraverso le testimonianze dei sopravvissuti e di un solo personaggio inventato, il deportato Adam: l’autore spiega nella postfazione che si è servito di questa figura per dare voce a tutte le altre notizie od informazioni raccolte in circa 20 anni di ricerca. Non esiste un filo logico apparente, ma le tristi vicende degli anni della guerra, quelle antecedenti e quelle successive dei vari processi sono narrate a capitoli alterni. Probabilmente questa tecnica è stata utilizzata per rendere maggiormente evidente l’assurdità e l’orrore del comportamento di Victor Capesius, il farmacista originario della Transilvania assoldato poi come carnefice nel campo di concentramento di Auschwitz. Nel libro infatti sono riportate alcune fotografie degli anni Trenta del 1900, in cui Capesius posa sorridente insieme ad alcuni suoi compaesani che 15 anni dopo ritrova come prigionieri nel lager, e di cui decide la sorte, spesso tragica ed atroce, con un semplice gesto della mano. Il paradosso di questo atteggiamento viene portato all’apice quando un sopravvissuto afferma che molti prigionieri, fidandosi di lui come persona nota ed amica, ascoltavano i suoi consigli, il più delle volte accompagnati da un sorriso o da un tocco gentile della mano, che in realtà rappresentavano una strada senza ritorno verso le camere a gas. Il libro narra quindi l’orrore della vita dei lager, non solo dei deportati che dovevano affrontare fame, freddo e fatica, ma anche quella spaventosa dei prigionieri addetti alle camere a gas, come Adam: uomini che erano costretti ad assistere e ad essere complici involontari della morte dei loro stessi compagni. La lettura di questo saggio richiede nervi saldi, tempra ma anche tempo per soffermarsi a riflettere su ciò che si è appena appreso, per non dimenticare una delle pagine più tristi ed agghiaccianti della nostra storia moderna.

Durata della lettura: 10 giorni
Bevanda consigliata: sherry
Età di lettura consigliata: dai 18 anni




Un libro che narra in modo diretto e senza fronzoli della banalità del male.

Dieter Schlesakè nato nel 1934 a Schäßburg (Sighisoara) in Transilvania, Romania. Poeta di madrelingua tedesca, saggista e romanziere, dopo gli studi universitari in germanistica a Bucarest ha subito la persecuzione del regime di Ceausescu per la sua attività di redattore della rivista «Neue Literatur». Nel 1969 si è trasferito a Stoccarda, in Germania, e dal 1973 vive in Toscana, ad Agliano, sopra Camaiore (Lucca). Membro del PEN Club, ha ottenuto numerosi riconoscimenti e premi letterari.

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