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martedì 9 settembre 2025

Recensione: Come brace coperta



  Come brace coperta

 di Alice Malerba

 Editore: Mondadori
 Prezzo: €19
 Pagine: 264 

 Polesine, 1951. Quando, dopo giorni di pioggia incessante, Nora vede il fango filtrare sotto la porta di casa, capisce che l’acqua si prenderà tutto ciò che la sua famiglia possiede. I Visentin sono gente modesta, mezzadri con le braccia buone, e Nora, la più grande di tre sorelle, a undici anni ha già lasciato la scuola per aiutarli nei campi. Solo ogni tanto, grazie a un amico che le procura di nascosto qualche libro, può evadere dalla durezza quotidiana e rifugiarsi per un po’ in quei mondi lontani. Ma dopo la grande alluvione, che ha distrutto le case, decimato le bestie e costretto molti a sfollare, la terra stessa sembra aver perso la sua fertilità, e chi è rimasto ha sempre meno lavoro. Così i Visentin decidono di lasciare tutto per cercare fortuna nel Vercellese, dove la produzione del riso attira manodopera da tutto il paese. Nessuno di loro sa nemmeno com’è fatta, una risaia, e quando vedono per la prima volta dal finestrino del treno quell’immensa distesa d’acqua la scambiano per il mare. La realtà che li aspetta, però, è più amara di quella che hanno lasciato: sono costretti a vivere in una baracca e a lavorare per giornate intere coi piedi immersi nel fango, lo stesso fango che di notte invade ancora gli incubi di Nora. A rischiarare un poco le sue giornate arriva Lina, una stagionale romagnola che coi suoi modi smaliziati riesce a far breccia nella scorza dura di Nora; ma sarà l’incontro con Riccardo, il figlio di un proprietario terriero del Monferrato, a permetterle finalmente di tirar fuori se stessa e la sua famiglia dal fango. E a riaccendere piano piano in lei una sete di riscatto sempre più vorace, che la porterà a trasformare l’azienda agricola della famiglia acquisita in una rinomata cantina di Barbera. D’altra parte, suo padre l’ha sempre detto che quella figlia, sotto l’aria mite, nascondeva il fuoco vivo, come la brace coperta dalla cenere… Alice Malerba ha scritto un grande romanzo impastato d’acqua e di terra, di riso e di vino, che attraversa la seconda metà del Novecento raccontando le trasformazioni di un’Italia rurale sospesa tra miseria e speranza: la storia di una famiglia che viene messa ripetutamente in ginocchio e che lotta per sopravvivere, ma soprattutto di una donna che ama la vita con un furore tale da rischiare di bruciare, per troppo desiderio, tutto ciò che tocca.




La famiglia di Nora è reduce dall’allagamento del Polesine, una zona del Veneto completamente distrutta da un’alluvione che ha devastato i loro terreni e ucciso il bestiame. Il padre di Nora, la madre e le due sorelline vorrebbero rimanere nella loro terra, ma questa non offre più alcuna fonte di lavoro e sono quindi costretti a trasferirsi nel Vercellese per lavorare nelle risaie.

La vita di Nora, a cui piace studiare, diventa improvvisamente dura e solitaria, finché non fa amicizia con un’altra mondina, Lina, che a differenza di Nora ha un carattere esplosivo e non passa inosservata.

La nostra Nora però non rimane una ragazzina timida a lungo: dopo il trasferimento e, più tardi, con il matrimonio, il suo carattere diventa sempre più forte, soprattutto nelle lotte con la suocera.

L’origine umile della ragazza, “salvata dal fango”, sembra non abbandonarla mai del tutto, al punto da spronarla costantemente al miglioramento e alla crescita. Il suo carattere, così determinato nel riscatto, può risultare a volte antipatico, ma proprio per questo si finisce con l’amarla sempre di più: in quegli anni pochissime donne avevano la forza di superare i propri limiti e non lasciarsi ingabbiare dalle origini, come invece era accaduto alla madre di Nora.

Il dolore e la fatica la accompagneranno fino alla fine del romanzo.

La scrittura è cruda, viscerale: la descrizione della donna durante il parto è, a mio avviso, bellissima. Una protagonista tosta, a tratti difficile da accettare, ma da stimare nel profondo, così come il marito, buono e docile.

Consigliato a chi apprezza le saghe familiari dominate da grandi figure femminili. Una storia che vedrei bene trasposta in un breve film, intenso e coinvolgente, capace di restituire sullo schermo la stessa forza emotiva della pagina scritta.

Durata totale della lettura: Dieci giorni
Bevanda consigliata: Cappuccino
Formato consigliato: Cartaceo
Età di lettura consigliata: dai 14 anni
Consigliato a chi ha apprezzato:Una questione di famiglia di Claire Lynch




"Solo silenzioe e rancore per nascondere la vergogna di dover ammettere che un futuro, per loro, lì non c’era più . " 
 


Si ringrazia la casa editrice per la copia omaggio

mercoledì 11 giugno 2025

Recensione: Napoli due volte al dì



  Napoli due volte al dìo

 di Amedeo Colella

 Editore: Mondadori
 Prezzo: €18
 Pagine: 228
 

  Luciano De Crescenzo scriveva che tutto il mondo ha bisogno di un po’ di Napoli. E aveva ragione. Città formidabile, sempre fuori dagli schemi e con uno schema tutto suo. L’unica che sfugge all’appiattimento dell’algoritmo che sta livellando bisogni, sogni, gusti ed esistenze di gran parte dell’umanità. In quale altro posto del mondo il primo ospedale può essere chiamato “degli incurabili”? Si conoscono altre situazioni in cui il santo protettore, san Gennaro, ha dovuto sottoscrivere il suo impegno a tenere sotto controllo il Vesuvio in un atto notarile, per di più qualche centinaia di anni dopo la morte? Tutto questo e molto altro succede solo a Napoli. Perché nella città di Partenope la medietà non ha proprio cittadinanza. C’è il primato e il non classificato, la vetta e l’abisso, il meglio e il peggio, ma non c’è mai la fascia mediana, quel borbottante tran tran quotidiano per cui le giornate, le persone e le metropoli si somigliano fra loro. L’eccezionalità di Napoli e dei napoletani è che poli sempre opposti non si attraggono per nulla, ma generano una diversa normalità, un modo di vivere atipico e creativo. Amedeo Colella, detto ‘o professore, ha speso tempo e intelligenza per scovare il principio attivo della napoletanità, e in questo libro ce lo propone come una buona medicina da assumere due volte al dì. Tantissimi racconti di cultura partenopea che narrano i grandi del passato, le meraviglie gastronomiche, il profano rapporto con il sacro, e che diventano, involontariamente, una salutare somministrazione di benessere per tutti.




Napoli è una terapia, un farmaco, una cura contro decine di malattie. Napoli è un rimedio contro la solitudine, la depressione, le dipendenze, contro i disturbi dell’alimentazione, le sindromi bipolari e tripolari; dal ginocchio della lavandaia al gomito del tennista, dal fuoco di Sant’Antuono ai disturbi della sfera sessuale. Insomma serve a ’nu poco ’e tutto. Ti chiedo di assumerla… due volte al dì.

 Il dottore ci ha prescritto una cura, e noi, diligenti, l'abbiamo seguita andando a Napoli proprio durante la lettura di questo romanzo. Certo, il vero motivo era la vittoria del quarto scudetto, ma con la scusa abbiamo prestato attenzione alle cose che racconta lo scrittore: gli orologi pre-napoleonici a sei ore ancora presenti in alcune piazze, le madonnine illuminate la sera all’ingresso delle case, che storicamente servivano a evitare rapine e hanno dato vita all'espressione “’A Maronn t'accumpagn”. Il romanzo ci regala una miriade di mini pillole di conoscenza sulla lingua e sulla napoletanità in sé. 

Ogni capitolo è di poche pagine, giusto il tempo di dirci l’essenziale, riuscendo però a infilarci dentro anche tutta la storia necessaria. Scopriamo, per esempio, l'origine della parola zoccola, il significato di mannaggia 'a culonna e tante altre espressioni che non sapevamo fossero legate a eventi storici fondamentali per la città. Si racconta la storia di questo magnifico melting pot di culture e di come la sua lingua e le sue tradizioni siano state influenzate da tutte le nazioni che l’hanno abitata, per periodi più o meno lunghi. Tutto ci viene narrato in modo più romanzato che etimologico o noioso, e questo rende la lettura estremamente scorrevole e divertente.

 Ma il romanzo non si concentra solo sulle parole: parla anche delle usanze. Ad esempio, quanto mettere nella busta per un matrimonio, perché si mangia la zuppa di cozze il Giovedì Santo, o come la sirena Partenope abbia influenzato il sottofondo musicale della città. 

 Un libricino breve e simpatico. Se non siete di Napoli, vi consiglio di leggerlo in compagnia di qualcuno del posto: vi farete delle grasse risate e quella persona potrà raccontarvi le proprie esperienze in merito. 

 Consigliato se avete bisogno di staccare la spina, rilassarvi davvero e, allo stesso tempo, imparare qualcosa che non sapevate. ’A Maronn v’accumpagn! 


Durata totale della lettura: Cinque giorni
Bevanda consigliata: Nu bellu caffè
Formato consigliato: Cartaceo
Età di lettura consigliata: dai 12 anni




"Il babbà è l’eccellenza. Ecco perché un napoletano se deve dire a una bella donna che è perfetta dice: “Tu sî ’nu babbà" 
 


Si ringrazia la casa editrice per la copia omaggio

mercoledì 7 maggio 2025

Recensione: L’alveare



  L’alveare

 di Margaret O'Donnell

 Editore: Mondadori
 Prezzo: € 22
 Pagine: 312
 Titolo originale: The Beehive 
 Traduzione a cura di: Federica Aceto

  Dopo essere salito al potere accusando le donne di aver portato il paese alla catastrofe economica per aver occupato posizioni professionali destinate agli uomini, il dittatore Gorston getta le basi di una nuova società che si fonda su due pilastri: l’ossessione per la maternità e la disumanizzazione femminile. Dall’età di dieci anni, infatti, le donne vengono suddivise in due categorie: la maggioranza, che ha il compito di sposarsi e partorire un figlio ogni due anni; e le ragazze con un quoziente intellettivo più elevato che, dopo essere state sottoposte a una sorta di “indottrinamento” volto a spegnerne ogni vivacità umana, devono lavorare. Le posizioni a loro riservate, tuttavia, sono quelle ancillari, che gli uomini abitualmente rifiutano: segretarie, infermiere, centraliniste. Costrette a tingersi i capelli di grigio e a indossare abiti grigi in una sorta di tenuta d’ordinanza che mortifica ogni tratto della loro femminilità, questo esercito in bianco e nero si muove silenzioso in un sistema di controllo e di divieti. Sarah Hillard è una di loro, ma solo all’apparenza. Di giorno fa la segretaria, di notte si nasconde in luridi scantinati, dove prepara militarmente una rete clandestina di donne per il giorno dell’Insurrezione, momento in cui Gorston dovrà morire e le donne potranno finalmente liberarsi. Pedinata da Steiner – capo della polizia segreta e braccio destro di Gorston -, che ha fiutato qualcosa, Sarah è pronta a tutto pur di mettere a segno il suo pericoloso piano rivoluzionario. Unico romanzo pubblicato da Margaret O’Donnell, attivista irlandese per i diritti civili, L’alveare è stato scritto cinque anni prima del famoso Racconto dell’Ancella di Margaret Atwood, con cui condivide le tematiche di fondo e molti elementi di trama. Temi che, a quasi mezzo secolo di distanza, continuano a risuonare con grande forza e rilevanza, facendo dell’Alveare un pilastro della narrativa distopica femminista da riscoprire assolutamente.




Se vi è piaciuto Il racconto dell'ancella, questo romanzo fa assolutamente per voi. 

Ci troviamo in una città non ben definita in Irlanda, governata da un regime dittatoriale capeggiato da Gorston, salito al potere trent'anni prima. A causa di un tasso di natalità eccessivo, la città (e in parte anche il resto del mondo) era sprofondata in una profonda recessione, con un tasso di disoccupazione spaventoso. Gli uomini, sostenuti dalla Chiesa, vedevano di cattivo occhio il fatto che le donne lavorassero mentre loro erano disoccupati: secondo la loro visione, le donne avrebbero dovuto limitarsi a essere madri e mogli. 

Gorston crea quindi una società "perfetta" per loro. Le donne vengono analizzate all’età di dieci anni e suddivise tra lavoratrici e mogli. Le prime, chiamate “le grigie” per via dei capelli tinti, vengono educate a considerarsi inferiori agli uomini, a non provare emozioni né a pensare autonomamente. Le seconde devono sposarsi e avere un figlio ogni due anni. 

 Alcune donne, però, iniziano a organizzarsi per porre fine a questo scempio di società. Carl, autore di alcuni murales nella nuova Sala del Popolo e proveniente da un’altra città non soggetta al regime di Gorston, decide di aiutarle, sconvolto dalle vicende raccapriccianti che gli vengono raccontate. La struttura distopica del romanzo mi ha catturata subito e, man mano che proseguivo nella lettura, mi sono resa conto di quanto gli aspetti legati alla sottomissione femminile non fossero poi così "fantastici". Un immaginario inquietantemente vicino alla realtà. 

 Il romanzo ha un ritmo incalzante e uno stile asciutto, essenziale, proprio come la protagonista e le altre grigie. Mi è dispiaciuto che non fosse più lungo: ci sarebbero stati mille spunti da approfondire — cosa succede dopo? Cosa è accaduto alle mogli? Insomma, un romanzo di ribellione, di riscatto, di logica e strategia, con scene che vi faranno venire i brividi perché, purtroppo, troppo vicine alla realtà. Un libro che vi farà pensare e riflettere. 

 Ho trovato il finale troppo affrettato: come dicevo, mi sarebbe piaciuto leggere di più! Consigliatissimo, anche se non incisivo quanto il romanzo di Atwood pubblicato cinque anni dopo.


Durata totale della lettura: Quattro giorni
Bevanda consigliata: Aranciata fresca
Formato consigliato: Cartaceo
Età di lettura consigliata: dai 15 anni
Website dell'autrice: Imbi Neeme
Consigliato a chi ha apprezzato: Un grido di luce di Abi Daré





"Il cuore apparteneva a tempi più tranquilli, quando la battaglia sarebbe stata vinta e la società non avrebbe approfittato delle debolezze del cuore per distruggere lo spirito." 
 


Si ringrazia la casa editrice per la copia omaggio

lunedì 5 maggio 2025

Recensione: La distanza che cura

 


La distanza che cura
di Valeria Locati

Editore: Mondadori
Prezzo cartaceo: € 18.50
Pagine: 204

Quanto pesa la famiglia nelle scelte che compiamo? Fino a che punto le aspettative dei genitori influenzano la nostra realizzazione personale, economica e affettiva? E, soprattutto, come possiamo inseguire i nostri desideri senza tradire le nostre radici? Ci sono legami invisibili che spesso ci trattengono, aspettative che non ci appartengono, paure che non sono davvero nostre. Diventare adulti significa imparare a riconoscerli e, quando necessario, a prenderne le distanze. Ma come si fa senza provare sensi di colpa? In La distanza che cura, la dottoressa Valeria Locati, psicologa e psicoterapeuta della coppia e della famiglia, affronta con lucidità e delicatezza il tema dell’indipendenza emotiva dai genitori e dai condizionamenti familiari, una sfida cruciale per i giovani di oggi alle prese con il difficile equilibrio tra autonomia e appartenenza. Con uno sguardo attento ai Millennial e alla Generazione Z, l’autrice ci invita a riflettere su tre pilastri fondamentali della vita adulta – la scelta del partner, l’indipendenza economica e la realizzazione professionale – mostrandoci come la famiglia, con le proprie dinamiche interne e i miti narrati e tramandati di generazione in generazione, spesso diventi una gabbia che ci impedisce di evolvere. E, attraverso racconti tratti dall’esperienza clinica e dalla narrativa, ci accompagna in un percorso di consapevolezza e riposizionamento, insegnandoci a riconoscere i legami che ci condizionano e a ripensarli senza subirli. “Ci si svincola creando confini, limiti, definizioni, regole chiare, non barriere o assenze. È la distanza che cura, non lo strappo, non il rimanere, non il soccombere”: la “giusta distanza” per allontanarsi e poi ritornare con una nuova consapevolezza di sé e del proprio posto nel mondo.


Quanto costa il peso della famiglia nelle decisioni che prendiamo? In che misura le aspettative dei genitori influenzano la nostra vita? Come ci si libera dai legami familiari senza spezzarli e senza sensi di colpa?
Sono queste alcune delle domande che mi hanno accompagnata durante la lettura di La distanza che cura di Valeria Locati. 

Domande scomode, profonde, inevitabili se si è appassionati, come me, di psicologia e relazioni umane. Fin da subito mi sono sentita coinvolta nei temi trattati, ma devo ammettere che ho impiegato del tempo a concludere il libro: non perché non fosse interessante, o non mi piacesse, tutt’altro, ma perché è una lettura che richiede tempo e attenzione, riflessione e anche una certa dose di coraggio. Ogni pagina è un invito a fermarsi e riflettere e a fare i conti con ciò che portiamo dentro, da lontano.

Il titolo, già di per sé, racchiude e anticipa il cuore del libro: la distanza può essere una forma di cura. E non è una provocazione, ma una chiave preziosa per vivere relazioni più sane, autentiche, in cui ci si possa davvero vedere e riconoscere.
Valeria Locati, psicologa e psicoterapeuta, ci conduce in questo percorso con uno stile asciutto ma accogliente, professionale ma mai distaccato. Nei suoi brevi capitoli, che assomigliano a piccoli saggi , affronta con competenza e sensibilità il tema del legame con la famiglia di origine, quel filo che ci tiene legati e che, a volte, va allentato per poter respirare. 

Il libro lavora sul concetto di distanza relazionale, soprattutto nel contesto familiare, e prova a rappresentare quel limite sottile e delicato tra rottura e chiarezza. È una tensione che ci tocca da giovani, ma che continua a vivere in ogni fase dell’età adulta.
Attraverso casi clinici reali, riferimenti a personaggi della narrativa contemporanea e una lunga serie di domande stimolanti, il testo ci accompagna in un viaggio verso l’indipendenza emotiva, la consapevolezza, e la costruzione di relazioni familiari più funzionali.

È un libro che non si limita a raccontare: suggerisce, ispira, fa riflettere. Lo consiglio non solo a chi è in terapia, ma a chiunque si interroghi sulle proprie relazioni, a chi sente il bisogno di rimettere a fuoco qualcosa, a chi ha il coraggio o il desiderio di imparare a stare nella relazione in modo più sano e con più libertà e meno peso. Perchè sì, la distanza può curare e capire quando e come prenderla può fare davvero la differenza.

Durata totale della lettura: dodici giorni
Bevanda consigliata: succo ace
Formato consigliato: cartaceo
Età di lettura consigliata: a partire dai 16 anni 




"Va ripensato lo spazio da concedere ai genitori, va immaginato che siano adulti che hanno fatto ciò che potevano, con ciò che avevano in quel momento. Accettare il limite, accogliere la fatica, non per perdonare ma per non infierire contro se stessi."


Si ringrazia la casa editrice per la copia omaggio

martedì 11 marzo 2025

Recensione: Hamartía

 

Hamart
ía
di Rossana Soldano

Editore: Mondadori
Prezzo Cartaceo: €22,00
Prezzo e-book: €11,99
Pagine: 396

Questa è la storia di Lucas e Cristiano, che hanno fatto di tutto per non innamorarsi. In questa storia, Roma ha fatto di tutto “pe faje di’ de sì”.

Roma, 1967. In un caldo pomeriggio di giugno Lucas, giovane americano in cerca di un alloggio provvisorio, suona all’appartamento di via del Pellegrino trovato tramite un annuncio. Dentro sente qualcuno che canta un pezzo dei Beatles con una pronuncia terribile. Quella canzone è Lucy in the Sky with Diamonds. Subito gli è chiaro che in quella casa, inscritta nella cornice perfetta dell’Arco degli Acetari, non parlerà mai la sua lingua: Cristiano, l’esuberante proprietario, ha un accento marcatamente romanesco, ma questa non è la sua unica caratteristica. Cristiano vive liberamente la sua omosessualità ed è maledettamente attraente. Nonostante appartengano a due mondi lontanissimi, i due iniziano una relazione molto intima che investe in pieno le loro vite. Entrambi infatti hanno alle spalle un passato col quale devono fare i conti ogni giorno: Cristiano è alle prese con una famiglia che non appoggia le sue scelte; Lucas, invece, con una scelta che contrasta col suo desiderio. In una Roma all’alba di profondi cambiamenti culturali e sociali, segnata dagli episodi di Valle Giulia, tra personaggi eccentrici, Lucas scoprirà cosa significa avere degli amici e una famiglia, e dovrà decidere a quale amore restare fedele.



Se dovessi pensare ad una parola da associare a questo romanzo penserei subito a "sentimenti".  Perché ne è intriso, fin dalla prima pagina. 
Il sentimento principale è sicuramente l'amore, in primis quello fra Lucas e Cristiano, ma non è l'unico. Amicizia, senso di colpa, rancore, rabbia, indecisione sono solo alcuni dei sentimenti che vengono perfettamente espressi dai personaggi del racconto. Sul podio accanto all'amore però c'è senza dubbio il suo antagonista per eccellenza: l'odio. Quell'odio, infondato ed insensato, che ha portato l'ingegner Verdier a cacciare suo figlio Cristiano di casa, a soli 17 anni, solamente perché omosessuale. Quell'odio rappresentato perfettamente da dei ragazzi che urlano un "'A frocio", solo per presa di posizione e per paura di quello che non conoscono. Quell'odio che purtroppo, alimentato dalla paura, nonostante i tantissimi passi avanti, non è mai sparito. 

Roma, la città eterna, è forse il miglior posto al mondo per innamorarsi. E lo sanno bene Lucas e Cristiano, diventati coinquilini nell'estate del 1967, sulle note di Lucy in the sky with diamonds,  quando Lucas alla ricerca di una casa in cui vivere per qualche mese si ritrova agli Acetari  a bussare alla porta di Cristiano. Non sapevano che nel giro di pochi mesi la loro relazione sarebbe stata completamente stravolta, e tutti i loro tentativi di restare freddi e distaccati sarebbero stati vani. Insieme girano Roma giorno e notte e Cristiano mostra a Lucas tutte le chicche della città esordendo sempre con un " 'A voj vedé 'na cosa bella?". È il suo modo per dimostrare affetto a Lucas che, a differenza di Cristiano, è molto più spaventato di vivere liberamente la loro relazione. Cristiano vive la sua omosessualità apertamente, mentre Lucas ha ancora dei grossi scogli da superare, che si porta dietro come un fardello da quell'infanzia di cui non vuole raccontare nulla, un po' per vergogna, un po' per la paura di essere giudicato. 

La loro relazione è estremamente complicata e il fatto di non poterla vivere liberamente non li aiuta. 

In poco tempo Lucas si affeziona non solo a Cristiano, ma a tutta la combriccola. Gli amici più cari di Cristiano, 
Walter, Ludovico, Massimo, Isabella lo accolgono fin da subito nel gruppo anche se ci saranno delle forti incomprensioni, dovute in particolare alla diversa provenienza di Lucas e ad alcune divergenze di pensiero. Lucas, infatti, cerca conforto nella Fede e dei ragazzi, per certi versi, ribelli,  come Cristiano e i suoi amici, faticano a capire il suo punto di vista, soprattutto in un periodo socialmente movimentato come la fine degli anni Sessanta. 
Ma quello a cui Lucas si affeziona più di tutti è sicuramente Gino, lo zio di Cristiano. Lo zio Gi' è stato l'unico ad accogliere ed accudire Cristiano quando il padre lo ha cacciato di casa, l'unico, oltre ai suoi amici, ad averlo sempre appoggiato in ogni sua decisione e, in particolare, ad accettarlo e capirlo senza giudicarlo. 

Il cuore pulsante del romanzo è la casa all'Arco degli Acetari; racchiude tutte le cose importanti in sé: famiglia, amicizia e amore, in tutte le sue sfaccettature.  

Alleggerita dal dialetto romanesco, la storia di Lucas e Cristiano in Hamartía fa da sfondo ad un concetto molto più importante che continua ad essere estremamente attuale, nonostante anni di lotte: la paura, che continua ad essere presente ed estremamente radicata nella nostra società. Sta ad ognuno di noi cercare di combatterla come meglio possiamo, anche solo con dei piccoli gesti. Finché ci gireremo dall'altra parte facendo finta di non vedere, le cose, purtroppo, non cambieranno. 

Concludo con quella che è secondo me una delle frasi più rappresentative dello zio Gi' e del libro in generale: «Imparate er coraggio ingegne', che 'a paura fa 'a gente 'nfelice e 'a gente infelice fa er monno brutto»

Durata  della lettura:  Cinque giorni
Bevanda consigliata: Caffè della moka
Formato consigliato: Cartaceo
Età di lettura consigliata: dai 17 anni
Consigliato a chi ha apprezzato: Le cose giuste, Silvia Ferreri


      "Perché l'amore non si spiega, non si racconta e non si insegna. L'amore non te lo chiedi. L'amore lo sai. E lo senti."

Si ringrazia la casa editrice per la copia omaggio
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